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02 ago 2025

Curare la conversazione

di Luciano Caveri

Scrissi un po’ meno di vent’anni fa alcuni pensieri sulla conversazione.

È incredibile come in uno spazio relativamente breve la conversazione, intesa da dizionario come “il trovarsi insieme di più persone per conversare” e cioè “intrattenersi a parlare”, sia cambiato moltissimo.

In una gran parte delle circostanze in cui questo avveniva, oggi si è distratti dal telefonino o dal tablet e dunque, nel peggiore dei casi, si preferisce certa solitudine digitale al dialogo con altri, nel migliore, ci si intrattiene, ma con un occhio ai dispositivi.

Chissà cosa ne direbbe Guy de Maupassant, che diceva: “La conversazione. Che cos’è? Un mistero! È l’arte di non sembrare mai annoiato, di toccare tutto con interesse, di provocare il sorriso con una inezia, di essere affascinante con niente”.

O, ancora più indietro nel tempo, Michel de Montaigne: "L’esercizio più fruttuoso e naturale per le nostre menti è, a mio avviso, una conversazione”.

Si intende naturalmente, anche se si affrontano temi ponderosi, l’esistenza di una certa leggerezza, che a me piace moltissimo affrontare, anche se - come dicevo - si sta rarefacendo.

Ha scritto Ernst Junger: "Certo è che la conversazione ha anche un compito che spetta a lei sola e che non può essere sostituito da alcun altro mezzo. In essa si deposita proprio quel che di fugace, quel chiaroscuro dei tempi che nessuno storico rievocherà. Esso trascolora con il giorno come la brina, il velluto dei frutti". In certi casi somiglia un pochino ai castelli di sabbia o alle scritte sulla battigia in riva al mare e cioè destinati a non restare. Anche se può anche capitare il contrario, come a me è capitato con personalità varie, che mi hanno colpito, anche se in un passaggio fugace. Citai anni fa quanto scriveva sul tema Anna Maria Testa, esperta di comunicazione e figlia del grande Armando Testa, pubblicitario di grido.

“Conversare - osservava Testa - dovrebbe essere una capacità che tutti abbiamo, e a conversare ci si dovrebbe addestrare già da ragazzini. Magari imparando a rispettare la regola fondamentale (ma non così universale, almeno se guardiamo a quel che succede nei talk show) dei turni di parola: quando tu parli io ascolto, quando io parlo tu ascolti”. In merito Epitteto ha scritto: “Abbiamo due orecchie e una sola bocca proprio per ascoltare il doppio di quanto parliamo.”

Aggiunge poi più avanti sulla "danza delle parole": ”Molti paragonano il conversare a una partita di tennis o di ping pong, per via della palla che passa dall'uno all'altro. Poiché il ritmo è fondamentale, e poiché le cose funzionano meglio se non si considera l'altro come un avversario da sconfiggere, potrebbe essere, piuttosto, una danza in cui si guida a turno.

Ma sono conversazioni anche i colloqui di lavoro, quando riescono a non somigliare troppo a un interrogatorio. Lo sono i dialoghi terapeutici e le negoziazioni: tutti motivi in più per sviluppare la capacità di avere una buona conversazione”. Tutto ciò grazie a quanto ci distingue.

Lo diceva il linguista Noam Chomsky: “Ciò che distingue gli esseri umani da tutte le altre creature viventi è la loro capacità di utilizzare il linguaggio in modo produttivo e creativo." Anche nella conversazione.