Si può decidere di morire se si ama la vita? L’interrogativo, apparentemente inquietante, è ormai di grande attualità in Italia rispetto a casi di persone che, affette da gravi malattie che rendono la loro esistenza impossibile, chiedono di morire e vogliono farlo a casa loro e non morire con una trasferta in Svizzera, come in molti sono stati costretti a fare.
Mi ha molto commosso il caso della giornalista Laura Santi, che ha scelto in queste ore di morire con grande dignità, riuscendo - pur in assenza di una legislazione - grazie ai giudici costituzionali che hanno fissato dei paletti sin dal 2019.
Ci dev’essere, però, una normativa nazionale chiara e definita sul tema e questa è certamente materia appannaggio dello Stato ed è per questo che non sono stato d’accordo a votare una legge regionale nel nostro Consiglio Valle. Non è materia che possa avere una legislazione regionale come il vestito di Arlecchino.
Intanto - come dicevo - ci si arrabatta con l’uso di importanti sentenze della Corte Costituzionale e della giurisprudenza dei Tribunali.
La Consulta ha stimolato più volte un Parlamento ipocrita che langue nelle scelte definitive e ora giochicchia con proposte minimali e avvilenti. Il solito vizio ipocrita italiano di non affrontare le cose e, quando lo si fa, ci si bea con il giuridichese, quando invece ci devono essere norme ben definite per evitare interpretazioni successive e decreti applicativi senza fine.
Non bastante, purtroppo, le pur straordinarie cure palliative, quando le persone hanno corpi ridotti a carcasse e la loro vita è diventata un orrore. Esiste per qualcuno questa logica del martirio (quello degli altri), che non si sa da dove spunti nel nome della sacralità della vita, agitata come una bandierina ideologica.
Mio papà nelle ultime settimane della sua vita talvolta sussurrava (“ma non dirlo alla mamma!”), chiedendomi – con una domanda ovviamente retorica – come mai lui, veterinario, potesse spegnere la vita di un animale sofferente e lui non poteva ottenere altrettanto con una vita che si faceva sempre più grama.
Ribadisco, a questo punto, come la Corte Costituzionale italiana abbia ormai affrontato più volte il tema del fine vita e della morte assistita, cercando di bilanciare il diritto alla salute e all'autodeterminazione del malato con la tutela della vita. Le sentenze più significative in materia, soprattutto per quanto riguarda i malati terminali, sono state la sentenza n. 242 del 2019 (caso Cappato/Dj Fabo) e le successive pronunce che ne hanno chiarito e precisato la portata (ad esempio, le sentenze n. 135/2024 e n. 66/2025).
La Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto all'autodeterminazione terapeutica come un corollario del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e della dignità della persona (artt. 2, 13 Cost.). Questo significa che ogni persona capace di intendere e di volere ha il diritto di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, anche se vitale.
La Corte ha inoltre ritenuto incostituzionale l'art. 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) nella parte in cui punisce chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, se ricorrono determinate condizioni. Questo non significa una legalizzazione generalizzata del suicidio assistito, ma la non punibilità in specifiche circostanze, che sono:
la persona deve essere afflitta da una patologia che causa una sofferenza fisica o psicologica intollerabile; il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (ad esempio, respirazione assistita, alimentazione artificiale). Questa è stata una condizione chiave e spesso discussa, su cui la Corte è tornata per precisarne la portata; il paziente deve essere pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, senza coercizioni esterne.
Il proposito di suicidio deve essere stato formato in modo autonomo e libero dal paziente.
L'aiuto deve avvenire in modo tale da garantire al paziente la possibilità di autodeterminarsi nella scelta delle modalità di autosomministrazione del farmaco letale.
Le condizioni devono essere verificate da un medico del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.
Viene sempre e comunque ribadita la necessità di una legge organica che regoli la materia, ma in assenza di essa, i principi stabiliti dalla Corte rimangono validi per non lasciare le persone in una condizione di "abbandono" e per garantire il rispetto della loro dignità.
Attenzione, però, a non giocare con le parole!
Infatti, la Corte Costituzionale ha costantemente distinto il suicidio medicalmente assistito dall'eutanasia: con il suicidio medicalmente assistito, il medico fornisce i mezzi, cioè il farmaco letale, ma è il paziente stesso ad autosomministrarseli come atto finale.
Ci vogliono, tuttavia, certezze in una legge! Ha scritto nella lettera di addio Laura Santi: “Me ne vado avendo assaporato gli ultimi bocconi di vita in maniera forte e consapevole. Intendetemi: io penso che qualsiasi vita resti degna di essere vissuta anche nelle condizioni più estreme. Ma siamo noi e solo noi a dover scegliere”.
Lei ha scelto e ha anche, al limitare della sua vita, scritto ai parlamentari di svegliarsi.